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Vino di Montecarlo |
La coltivazione della vite, lungo le pendici del colle di Montecarlo risale al IX secolo, come risulta in alcune pergamene dove sono riportate le rendite di alcune vigne allivellate (in affitto) e dal della località “Vivinaia”, che ospitava l’omonimo castello, oggi scomparso, ma che un tempo sorgeva a poche centinaia di metri dall’odierno Montecarlo, “Viam Vinarium”, via Vinaria o del Vino come viene chiamata in un Placito dell’imperatore Corrado II, il 23 febbraio del 1038. Il tipo di terreno argilloso e l’ottima esposizione al sole dei vigneti, permettono la realizzazione di un eccellente vino, apprezzato fin dal X secolo e divenendo nel XV secolo uno dei vini più costosi in vendita nei vari mercati di Firenze. Il 13 agosto 1969, il “Bianco di Montecarlo” ricevette tramite un decreto del Presidente della Repubblica la “Denominazione Di Origine Controllata”, marchio di qualità che riceverà anche il “Rosso di Montecarlo” nel 1994. Il “Bianco di Montecarlo”, viene realizzato con vitigni di Trebbiano Toscano, Semillon, Pinot Gris e Bianco, Fermentino, Savignon e Roussanne, mentre per il “Rosso di Montecarlo” vengono impiegati principalmente i seguenti vitigni: Sangiovese,Lanaiolo nero, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Syrah, Cabernet Franc, Sangiovese e Merlot. Oggi a Montecarlo, è possibile degustare i suoi vini all’interno di caratteristiche enoteche e cantine, presenti all’interno e all’esterno del borgo, inoltre tutti gli anni all’inizio di settembre, nei pressi della rocca del Cerruglio, si tiene La Festa Del Vino, meta di migliaia di turisti eno-gastronomici. |
Buccellato di Lucca |
Il “Buccellato di Lucca” è il dolce tipico, più famoso di Lucca, e come dice un vecchio proverbio lucchese: "Chi viene a Lucca e 'un mangia il buccellato è come se 'un ci fosse stato". Il Buccellato, è un dolce a forma di ciambella, o di pane allungato e ha un peso medio di circa 600g, i suoi ingredienti principalmente sono farina, zucchero, semi di anice, lievito di birra, uvetta, bianco d'uovo, il metodo di amalgamazione dell’impasto e le dosi degli ingredienti sono i segreti principali, che alcune pasticcerie della città, custodiscono e si tramandano gelosamente di padre in figlio da alcune generazioni. La prima apparizione documentata, del Buccellato risale a un documento lucchese del 1485 e curiosamente nel 1578, la Repubblica di Lucca, visto il largo consumo, vi applicò una tassa sul consumo. Il Buccellato è un dolce che si mantiene a lungo, anche se dopo alcuni giorni rimane molto duro, quando si indurisce, i lucchesi lo consumano inzuppandolo nel vino, tagliandolo a fette e tostandolo servendolo mettendoci sopra zucchero e fragole, oppure realizzano la Zuppa Lucchese, strati di fette imbevute in vin santo che si sovrappongono intervallati da crema pasticcera, zucchero e fragole. |
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Il Farro |
Il farro della garfagnana prodotto IGP riconoscimento CE: Reg. CE n.1263/96 Il farro della specie Triticum dicoccum Schubier (grano vestito), coltivato dalla popolazione locale, in Garfagnana ,nel nord-ovest della Toscana (prov. di Lucca), è il cereale più antico fra tutti quelli pervenuti fino ai nostri giorni, era già coltivato nel settimo millennio a.C. in Mesopotamia, Siria, Egitto e Palestina. Con l’avvento delle nuove varietà di frumento, questo tipo di farro quasi sparì dalle coltivazioni italiane. Attualmente in Garfagnana ci sono quasi 100 aziende agricole che producono farro, su di una superficie di circa 100-110 ettari e con una produzione complessiva media di 200 tonnellate annue di farro "vestito". Il farro della Garfagnana viene coltivato su terreni idonei, poveri di elementi nutritivi, in una fascia altimetrica fra i 300 e i 1.000 m s.l.m. La semina avviene in autunno, su terreno precedentemente preparato, secondo la normale consuetudine della zona, senza l'impiego di concimi chimici, fitofarmaci e diserbanti: data l'elevata rusticità della pianta, il farro coltivato con la tecnica tradizionale risulta di fatto un prodotto biologico. La raccolta del farro avviene in estate, con le normali mietitrebbiatrici da grano, le spighette alla trebbiatura si distaccano interamente dal rachide, senza far uscire le cariossidi dalle glume e glumelle (per questo viene denominato "grano vestito" ). La produzione massima consentita per ettaro è di 25 quintali di farro vestito. Prima dell'utilizzazione la granella di farro deve essere brillata, cioè privata dei rivestimenti glumeali e di una parte del pericarpo; questa operazione (brillatura) veniva tradizionalmente effettuata con particolari macine. Il legame geografico del farro con la Garfagnana deriva principalmente dal fatto che il Triticum dicoccum, essendo stata riprodotto nella zona, ininterrottamente, da tempo immemorabile, oltre ad essere geneticamente adattata all'ambiente locale (terreni, clima, tecniche di coltivazione, ecc), forma con esso un binomio inscindibile e presenta requisiti peculiari tali da renderlo perfettamente distinguibile rispetto al farro prodotto in altre zone. Il Farro e' ricco di vitamine del gruppo A-B-C-E e sali minerali, contiene fosforo, sodio, calcio, potassio e magnesio. Il farro è povero di aminoacidi essenziali per questo si tende ad accostarlo alle leguminose che ne compensano la mancanza. Il farro contiene proteine, acidi grassi polinsaturi ed essenziali, ferro, manganese, rame,cobalto e un alto contenuto di selenio ed acido fitico che lo rendono un potente antiossidante. |
La farina di neccio |
Il 4
luglio 2003 è arrivata la tutela
comunitaria per la Farina di Neccio
della Garfagnana a denominazione
d'origine protetta (DOP) che si
aggiunge alle 123 specialità
alimentari italiane che hanno già
avuto l'ambito riconoscimento
dell'Unione Europea. La farina di
Neccio, attualmente destinata quasi
esclusivamente alla produzione
dolciaria, ha rappresentato nel
corso di molti secoli uno degli
alimenti base per il sostentamento
delle popolazioni rurali della
Garfagnana. L’importanza che il
castagno ha avuto in passato
nell’economia rurale di quest’area
della provincia di Lucca è
testimoniata da diverse fonti
storico documentali, come
disposizioni sulla raccolta ed
esportazione dei frutti del
castagno, risalenti addirittura al
1360, leggi sulla tutela dei
castagneti già a partire dal 1489,
nonchè dalla presenza di numerose
strutture usate per la lavorazione e
macinatura delle castagne
disseminate in tutta la Garfagnana.
Queste costruzioni (mulini e metati)
hanno caratteristiche
architettoniche e strutturali
particolari tanto che, sia nel
disciplinare che nei regolamenti
edilizi comunali, esistono vincoli
affinché possano essere preservati,
come espressione della cultura
locale e manifestazione del legame
con l'ambiente. La farina di Neccio
esprime un intimo legame con la
tradizione culinaria della
Garfagnana. Tra le ricette tipiche di questo boscoso lembo settentrionale della Toscana troviamo infatti la polenta di farina di neccio, i manafregoli (farina di neccio cotta con il latte), il castagnaccio (pizza al forno ottenuta con farina di neccio, olio, noci e pinoli) e, per concludere, quello che potremmo definire il pane della Garfagnana che prende, appunto, il nome di “neccio” ed è prodotto con farina, acqua e sale.Per la preparazione dei necci occorrono i "testi" che sono due attrezzi di ferro rotondi con un lungo manico per tenersi lontani dal fuoco; la parte rotonda di un testo si mette sulla fiamma viva, vi si versa una pastella composta di farina di castagne, acqua e sale, e si copre con la parte rotondo dell'altro testo. I testi verranno tolti dal fuoco quando la pastella si sara' rassodata creando il neccio. Si servono accompagnati da ricotta fresca . |
Il biroldo |
Del maiale non si butta via niente: è una delle leggi ancestrali della società contadina. E in Garfagnana dove resiste ancora l’usanza di allevare il maiale di famiglia dall’ingegno e dalla necessità di non sprecare nulla è nato il biroldo. Questo particolare insaccato è fatto con le frattaglie e il sangue del maiale, ma attenzione: non confondetelo con i mallegati o sanguinacci toscani prodotti all’infuori della Garfagnana, altrimenti i Garfagnini insorgeranno. Per fare il biroldo della Garfagnana (e della vicina Media Valle) si utilizza esclusivamente la testa del maiale che è più magra e conferisce una consistenza morbida al prodotto con l’unica eccezione di cuore e lingua. Se le spezie che profumano l’impasto di carne e sangue possono variare, sono tassativamente esclusi i pinoli che, spesso, caratterizzano invece il biroldo di Lucca. La ricetta non è complicata, ma occorrono una grande manualità e un saper fare attento per ottenere un buon risultato. Si fa bollire la testa del maiale per tre ore, la si disossa accuratamente e si unisce una piccola quantità di sangue, aggiungendo via via le spezie: spezie toscane, con una prevalenza del finocchio selvatico. Naturalmente ci sono anche sale e pepe, accompagnati da noce moscata, chiodi di garofano, cannella e anice stellato le quantità cambiano in funzione della mano e del gusto del norcino e c’è chi ci aggiunge pure un po’ di aglio. Un tempo le varianti erano pressoché infinite e ogni famiglia custodiva con orgoglio un ingrediente segreto che rendeva speciale il suo biroldo. Ottenuto l’impasto di carne, sangue e spezie, lo si insacca utilizzando preferibilmente il buzzetto del maiale, cioè lo stomaco, che viene cucito con perizia. In alternativa si può usare la vescica del suino, che invece deve essere legata. In tutti e due i casi, il biroldo, prima di essere consumato, deve bollire per altre tre ore così la parte più grassa e raffreddarsi lentamente all’aria, sotto la pressione di un peso, perdendo così la parte più grassa |
Formenton a otto file |
Il
formenton otto file è una
qualità di Granoturco (rea mais)
8 file della Garfagnana, detto
anche "Formentone", è una pianta
erbacea che veniva largamente
coltivata in tutta la Valle fino
a qualche decennio fa, per uso
quasi esclusivamente alimentare
(polenta). La coltivazione del formenton otto file Garfagnana è abbastanza limitata, sia per la scarsa estensione coltivabile, sia per il clima , molto spesso avverso. Il formenton otto file della Garfagnana è di media precocità, medio sviluppo, bassa capacità produttiva. Non sembri questo una contraddizione dopo quanto precede, nel comportamento vegetativo si riscontrano tutti i caratteri di una pianta rustica, abituata a trarre il massimo profitto dalle difficoltà idriche e resistendo alle avversità, adattandosi al disagio del terreno e dei lavori, atteggiandosi in strenua difesa nel caso di contrarietà stagionali (siccità ostinata) e recuperando comunque disperatamente; queste preziose qualità sono riscontrabili nelle caratteristiche strutturali: massimo sviluppo dei primi palchi radicati emessi e spintisi nella maggiore profondità; pronta emissione di nuovi palchi, cessando poi con il sopravvenire dell’albore estivo; bisogna vederli i campi di formenton otto file, nei periodi nei quali, assommandosi i fattori propizi, procedono con inusitato vigore. Nelle annate estremamente avverse,le colture che siano riuscite a resistere, cercano tuttavia di concludere, abbozzando una pannocchia. La parte aerea della pianta rispecchia le vicende della vita vissuta, caratteri distintivi della varietà sono: pannocchie frequentemente solitarie, duplici,triplici nelle terre irrigue, cosa che ne denota l’adeguamento della capacità produttiva; foglie poco abbondanti , piuttosto strette e sollevate, lamine leggermente ruvide la pannocchia, si inserisce sul quarto o quinto nodo con un pendolo di 25/30 cm su cui si inseriscono le brattee protettive (da 9 a10 ) (dette falaschi o sfoglie e che in tempi passati venivano usate anche per riempire materassi ). Lunghezza media della pannocchia è di circa 25-28 cm con un diametro di 35 mm; granella disposta in otto file ( o colonne) ciascuna composta di 44-46 chicchi con un numero complessivo di circa 350/360 chicchi per ogni pannocchia, ogni chicco ha uno spessore di mm.4 e longitudinalmente di mm.9 frattura del chicco vitreo; il rapporto fra il peso della granella e del tutolo è di appena 1/12; i chicchi sono di forma ad arco rotondeggiante (secondo l’asse trasversale della pannocchia) con superficie liscia; il colore è giallo- arancio e il peso di 100 chicchi è mediamente di 35 g Il formenton otto file della Garfagnana richiede una preparazione del terreno così come l’ordinamento dello statuto del Comitato Tutela Formenton otto file della Garfagnana lo consente. Inserito come trovasi nelle piccole aziende a proprietà frazionate e sparpagliate, la lavorazione dei terreni si effettua a primavera. La concimazione è a base di stallatico ( nel nostro caso non sono ammesse quelle chimiche e soprattutto è vietato l’uso di diserbanti ). Si semina a fine aprile primi di maggio, in solchi a distanza variabile fra 60-80 cm e sulla fila i semi a una distanza di 25/30 cm. Dopo circa 30 giorni si pratica una sarchiatura e una rincalzatura e l’assistenza culturale è compiuta. La raccolta si effettua nella seconda metà di agosto e primi di settembre, e viene fatta rigorosamente a mano e solo cosi si può selezionare, ed eliminare le pannocchie scarte. Viene poi fatto essiccare in pannocchia onde mantenere tutte le caratteristiche organolettiche particolarmente eccellenti; viene poi macinato a pietra e confezionato. Ma i pregi della varietà del formenton otto file non si esauriscono qui, essi vanno oltre. Il granturco raccolto nella Garfagnana è un prodotto apprezzatissimo che spunta sul mercato, per parte nostra lo riteniamo particolarmente adatto a preparare polente veramente eccellenti |
Le mele |
In garfagnana
vengono coltivate delle varietà di mele molto antiche così ben
adattate al territorio da non richiedere alcun tipo di trattamento. La mela Rotella , diffusa in Lunigiana, è di dimensioni molto ridotte e di forma schiacciata, il colore va dal rosso intenso al giallo. La mela Casciana, caratteristica della Garfagnana, simile per forma e colore alla mela Rotella è di dimensioni leggermente più grandi. Un elemento che rende preziosi questi frutti è la loro capacità di conservarsi : raccolte in ottobre-novembre, si mantengono senza alcun trattamento fino ai mesi di marzo-aprile |
Il boccone garfagnino |
Prodotto solo con carni della zona. La parte magra è costituita dalla punta di bistecca con l'aggiunta in piccola quantità di grasso di pancetta. Aromatizzato con spezie ed aglio, alcuni norcini per variarne il gusto aggiungono al preparato di base del tartufo o dei funghi porcini oppure del peperoncino La macinatura di grana media viene insaccata in budella di capretto. La stagionatura è di 30 giorni ed è un prodotto ideale per i palati più raffinati e esigenti. |
La mondiola |
E' il salume
della Garfagnana
per eccellenza,
prodotto con
carni della
zona.,è un
salame di suino
piuttosto magro.
Come parte magra
vengono
utilizzate le
parti più rosse
e consistenti
del maiale e
come parte
grassa, della
pancetta o del
gota Macinato a grana media, l'impasto è conciato con sale, zucchero, aromi e spezie in composizione variabile secondo la zona e il norcino. Insaccata esclusivamente nel budello naturale, la mondiola è aromatizzata con foglie d'alloro e ripiegata su se stessa nella tradizionale forma simile alla chiocciola che la rende immediatamente riconoscibile. La stagionatura si protrae solitamente per 45 giorni e la sua pezzatura è di 400-500g.. La mondiola si conserva al suo meglio per un massimo di tre mesi. Si consuma lessa con contorno di patate oppure anche fresca a fettine |
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Cinta Senese |
La “Cinta Senese” è un suino fra i più apprezzati e ricercati in Italia, originario del Chianti e della Montagnola, già allevato dagli Etruschi e poi dai Romani, si è diffuso nel corso dei secoli in tutta la Toscana, riconoscibile per la sua caratteristica banda bianca trasversale posta sulla groppa, le sue carni profumate dal sapore intenso hanno conquistato il palato dei buongustai, imponendosi come la miglior razza suina della regione, nonostante nei decenni passati alcune razze più veloci nello sviluppo in alcune zone l’avessero emarginato. La sua lentezza nel crescere (almeno 12 mesi di vita prima della macellazione) e il metodo dall’allevamento (allo stato brado all’interno di boschi), sono i fattori determinanti del suo successo, oggi per questo suino la Regione Toscana, ha già inoltrato la richiesta del marchio D.O.P. e nei principali allevamenti, ogni suino è iscritto all’albo genealogico (come avviene per le miglior razze di bovini), curato e aggiornato dalla “Cattedra Ambulante di Agricoltura di Siena” , fra i salumi ricavati dalle sue carni pregiate spiccano: il lardo, il prosciutto, il capocollo e il salame. |
Brigidini di Lamporecchio |
I brigidini di Lamporecchio, sono delle cialde rotonde fine come ostie, realizzate usando una piastra di ferro a pinza calda, schiacciando delle palline, di un impasto composto da farina di tipo “0” o “00”, uova, semi di anice e zucchero. Sulla nascita di questo dolce, esistono varie storie, la più plausibile, narra di alcune suore, di un convento di Lamporecchio, devote a Santa Brigida (santa svedese del XIV sec.), preposte alla realizzazione di ostie, che iniziarono a farne alcune, con un impasto più dolce, consumandole poi come dolce. Oggi, questi dolci poveri, chiamati dai toscani “i chicchi” sono presenti in tutte le fiere della regione e ancora oggi, mantenendo un’antica tradizione, prima di tornare a casa, i toscani ne comprano un sacchetto. Se volete saperne di più su questo dolce, andate il primo martedì d’agosto e il mercoledì successivo, a Lamporecchio alla sagra del “Brigidino”. |