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L'Eco di Ghivizzano ai 4 venti
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Archivio di Terra Lontana
La Redazione di Terra Lontana informa i suoi lettori, che l’archivio del nostro giornale è stato recentemente riordinato ed è consultabile da parte di tutti. Si parte dall’anno 1950, fino ad arrivare ai giorni nostri. I primi numeri erano veri e propri notiziari parrocchiali; si è poi passati all’inserto che si trovava all’interno del giornale “l’esare Nuovo”, arrivando infine agli anni ‘70, quando Terra Lontana assunse tutte le caratteristiche di un Giornale vero e proprio. Poi dall’anno 2001 la veste grafica è stata modificata, passando dal bianco e nero al colore. Lo scopo di questo riordino dell’archivio è principalmente quello di conservare tutta la storia di questo giornale e di metterla a disposizione di tutti coloro che avessero intenzione di consultare le varie uscite, per “ rispolverare” qualche notizia personale o curiosa. Se qualcuno fosse interessato, il nostro archivio è a disposizione di tutti, non dovete far altro che contattare la Redazione la quale cercherà di aiutarvi nella vostra ricerca.
                                                                                                                                                                                                               La redazione
La chiesa parrocchiale di Ghivizzano
La Chiesa parrocchiale di Ghivizzano è posta alla sommità della collina e con l’unito campanile merlato domina tutto il paese alto e la parte più moderna dell’agglomerato urbano che si estende giù in basso nella valle del Serchio. Alla Chiesa ed al campanile si accede con il caratteristico grande scalone “scaleo” in pietra scolpita di Matraia. La Chiesa è dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo fino dall’anno 1780, quando la stessa, ad opera degli abitanti del paese, venne ampliata aggiugendosi all’edificio della precedente chiesetta o cappella della Rocca risalente all’anno 1308, in stile romanico, denominata di San Martino. L’ampliamento, avvenuto appunto dal 1777 al 1780, impresse all’edificio sacro, in gran parte lo stile barocco, con il tetto a volta, segni decorativi a colori vistosi e tanta luminosità. Nel pavimento del tempio in mosaico del marmo di Carrara, rifatto nel 1885, sono poste due lapidi sepolcrali sotto le quali giacciono i resti mortali di Giovanna e Filippo Castracani, rispettivamente moglie e figlio del Signore della Rocca Castellana Francesco Castracani di Lucca, la prima morta nell’anno 1336 ed il secondo (figlio) nell’anno 1347, come indicano le scritture, in lingua latina, scolpite nel marmo.La vistosa pittura decorativa del soffitto del tetto della Chiesa fu opera del pittore romano Coccia, mentre alle pareti sono affissi quadri molto belli del pittore lucchese liberi risalenti al 1600.Sull’altare principale emerge un grosso Crocifisso, dono del parroco di Ghivizzano, Mons. Amedeo Tofani, nell’anno 1946, quando per anzianità lasciò la parrocchia guidata per 48 anni. Ai lati dell’altare principale sono poste le due statue dei Santi titolari Pietro e Paolo. Il magnifico campanile, in stile neogotico fu costruito nell’anno 1857 sul piazzale-sagrato appresso la Chiesa e così dall’alto fa echeggiare il suono festoso dei suoi tre sacri bronzi.
La Chiesa Oratorio di Sant'Antonio
A Ghivizzano alto, tra le case del piccolo borgo medievale, si trova un’altra piccola chiesa-oratorio, costruita in stile romanico nell’anno 1390, dedicata a San Matteo. Essa fino da quella data funse da Chiesa Parrocchiale e servì quindi per le cerimonie religiose della popolazione allora esistente nel paese fini all’anno 1780, quando risultando troppo piccola per l’accresciuta popolazione, tutti i servizi religiosi e parrocchiali passarono alla Chiesa più grande e titolare dei Santi Pietro e Paolo sulla Rocca. Da allora la piccola chiesa prese il nome di Sant’Antonio ed anche attualmente è molto utile per le cerimonie religiose saltuarie e di oratorio. Nel tempietto si trovano due fonti battesimali: quello più antico risale al 1445, è a forma di pozzo ottagonale in marmo per il battesimo ad immersione. E’ molto bello e reca scolpite le decorazioni e lo stemma della nobile famiglia Nuti o Noxi del 1400 di Ghivizzano, due componenti della stessa famiglia fecero parte degli Anziani della Repubblica di Lucca. L’altro fonte battesimale è fissato al muro e reca la data 1790.
"Sulla via del Volto Santo"
Una tappa del pellegrinaggio organizzato dall’Oratorio Santi Faustina e Giovita di Sarezzo (Brescia) è stato proprio il nostro Paese. Infatti Mercoledi 25 agosto scorso, i pellegrini partiti dal Monte Argegna il 22, hanno percorso svariati km a piedi, passando per Piazza al Serchio, Castelnuovo Garfagnana, Barga, Ghivizzano, Borgo a Mozzano, fino ad arrivare il 27 agosto al Volto Santo in Lucca.Il Gruppo Ricreativo, contattato qualche settimana prima, ha ospitato ed offerto un pranzo nella sala del centro parrocchiale, rispettando il principio del pellegrinaggio stesso all’insegna del risparmio e della sobrietà. Ed allora è bastato un bel piatto di pasta ai circa cinquanta pellegrini, che ,arrivati verso le 12.00, hanno pranzato e dopo un breve riposino, sono ripartiti verso i locali della Misericordia di Borgo a Mozzano, dove vi hanno poi trascorso la notte. Sono stati coinvolti in questa “avventura” ragazzi bambini e molte famiglie, che sapientemente guidati dal loro parroco Don Michele, sono alla loro seconda esperienza , dopo quella fatta qualche anno fa ad Assisi. Al momento dei saluti, i pellegrini hanno calorosamente ringraziato tutte quelle persone del nostro paese che li hanno accolti, dando un contributo affinchè il loro cammino potesse svolgersi nel migliore dei modi. D’altro canto il G.R.P. è stato fiero di accogliere loro, riconoscendo il pregio a Don Michele di tenere uniti i ragazzi e le loro famiglie con un obiettivo comune, divertendosi, senza mai trascurare la preghiera.
                                                                                                                                                                                                                       Pietro
La Lapide del Vescovo Camilli
Il bianco busto marmoreo di Mons. Davide Camilli è tornato al suo primiero splendore, quale apparve certamente il 29 Giugno 1911 in cui la lapide commemorativa, per volontà del popolo di Ghivizzano, fu esposta all’ingresso dell’antico palazzo Nuti in Castello, in riconoscenza all’illustre cittadino, deceduto il 13 Febbraio 1909, mentre era Vescovo nella città di Fiesole, che pur nel suo grande impegno pastorale nella diocesi a lui affidata dal Sommo Pontefice, mai dimenticò il natio Ghivizzano e volle che la Sua parrocchia fosse dotata di una struttura, il palazzo Nuti appunto, quale luogo utile per educare e indirizzare le nuove generazioni alle nobili tradizioni religiose e civili dei nostri antenati. La volontà dell’insigne benefattore, si può ben affermare che è stata rispettata nel tempo con l’istituzione dell’asilo parrocchiale per bambini e giovinette, diretto dalle suore Dorotee e poi Francescane, successivamente ad uso di opere ricreative per i giovani della parrocchia e per due sezioni di scuola materna statale. Negli ultimi quindici anni, l’edificio antico donato dal Vescovo Camilli, per la sua collocazione e la ristrettezza dei suoi locali, risultò non più funzionale e inadeguato alle esigenze dell’accresciuta popolazione del paese, stabilitasi in gran parte a valle, per cui la parrocchia, con l’approvazione dei fedeli e della autorità religiose della Diocesi, nell’anno 2002 trasferì le attività pastorali, ricreative, culturali e sociali nel nuovo centro parrocchiale costruito accanto alla chiesa del Sacro Cuore, che va rivelandosi di tanta utilità e frequentazione non solo da parte della nostra parrocchia, ma anche da quelle limitrofe, che costituiscono localmente l’Unità Pastorale. Ci sembra, quindi, che lo scopo e lo spirito della donazione del Vescovo Camilli trovi continuità anche maggiore nella nuova collocazione. In appendice dobbiamo lanciare una frecciata riconoscente verso il nostro Pietro Frediani, collaboratore di Terra Lontana nonché esperto tecnico del marmo, infatti si deve a lui la rinnovata lucentezza del busto del Vescovo Camilli. Pietro, in una fredda mattina di Dicembre scorso, coadiuvato da volenterosi del Gruppo Ricreativo Parrocchiale, ha provveduto con alchimie varie e forza di gomito, a ripulire la dominante effigie del grande nostro Vescovo, che, siamo certi, dall’alto dei cieli avrà impartito la santa benedizione a questi meritevoli.
                                                                                                                                                                                                                     Agostino
Vita e storia di
RENZO GIANNONI
Renzo nacque a Calomini, frazione del comune di Vergemoli (LUCCA) nel 1938 da Giannoni David e Betti Marianna. Frequentò le scuole fino alla media inferiore, poi con la famiglia si trasferì a Ghivizzano, comune di Coreglia Antelminelli, che lasciò nel 1958 per recarsi all’estero quale dipendente del Ministero Italiano degli affari esteri. Iniziò il suo lavoro nella nazione belga e passò dopo pochi anni negli Stati Uniti D’America presso l’ambasciata italiana di Washington diretta, in quel periodo, dall’ambasciatore Fenoaltea. In questa sede, nell’anno 1966, avvenne un attentato a scopo di rapina e Renzo rimase gravemente ferito da arma da fuoco nell’atto di porsi in difesa dell’ambasciatore italiano. Nell’ospedale della capitale americana, Renzo fu operato e guarito, desiderò rientrare in Europa, dove venne assegnato al Consolato Italiano nella città francese di Nizza e qui rimase per 17 anni. Il consolato italiano dette grande risalto ed apprezzamento per il gesto eroico compiuto in precedenza in America da Renzo, rilevato anche dalla stampa internazionale, ed il Console Generale Italiano di Nizza, Dott. Guidobaldo Stampa, assegnò a Renzo, in quella sede, una splendida medaglia d’argento al valore civile. Successivamente Renzo rientrò al Ministero degli Affari Esteri a Roma e da qui fu nuovamente trasferito presso varie sedi diplomatiche e Consolati Europei fino a che, nell’anno 2005, terminò il suo servizio a Charleroi in Belgio. In questo lungo percorso trascorso all’estero a contatto con le comunità italiane di emigrati, Renzo ha ideato un vessillo: “La Bandiera dell’Emigrante Italiano ed una statua” a simboleggiare tanti meriti ed onore conquistati in ogni parte del mondo dai bravi lavoratori e cittadini figli d’Italia. Renzo desiderebbe che tali vessilli venissero riconosciuti ufficialmente dallo Stato Italiano. Ora si trova in pensione con la moglie a Ghivizzano, ha due figli. Davide e Marco, residenti in Belgio, dove esplicano rispettivamente la professione di Psicologo e Criminologo ed ha due nipotini. Renzo, per mezzo di Terra Lontana, invia i più cari saluti a tutti gli italiani in Italia ed a quelli residenti all’estero.
                                                                                                                                                                                                             Agostino
Il Milite Ignoto nel cimitero di Ghivizzano
Come saprete nel nostro cimitero, in Camparlese, c’è la tomba del “Milite ignoto” che con il passare del tempo si è rovinata sia nella parte orizzontale (in cemento tutto frastagliato) e quella verticale con il marmo tutto annerito. Il Gruppo Ricreativo Parrocchiale ha deciso di risistemare il tutto. Come vedete nella foto (prima e dopo l’intervento) ora la tomba è stata rinnovata con marmi e ghiaino , e dobbiamo ringraziare la ditta Dini Marmi che ancora una volta si è dimostrata disponibile , mettendo a disposizione tutto il materiale per eseguire il lavoro e Frediani Pietro e Orsi Massimo per la loro opera volontaria di pulizia e messa in opera. Ci sembra doveroso aggiungere due parole sui fatti che nel 1944 ,ai primi del mese di ottobre , riportano al ritrovamento di un soldato trovato sepolto, in fretta e furia, sotto pochissima terra, “sul piano”, sopra le curve del Ponte a Rio, in un campo di patate ancora da raccogliere proprio a causa della guerra. A raccontarci questo triste avvenimento è il nostro compaesano Ugo Baldacci che al momento del fatto aveva 12 anni e che ricorda, con grande lucidità e commozione, di aver trovato lui stesso, insieme a Griso Gianasi , il cadavere mal sepolto e in stato di decomposizione e di aver riconosciuto un giovane soldato biondo, poco più che ventenne, prigioniero dei tedeschi i quali avevano sistemato nella piazzola antistante le scale della “Misericordia” una cucina da campo su dei camion. Ugo ci dice che in quel periodo abitava proprio nell’appartamento sopra la” Misericordia “ e di aver parlato molte volte con questo ragazzo che lavorava al servizio dei tedeschi e spesso gli offriva qualcosa da mangiare oltre a chiedergli con insistenza, con un italiano stentato, notizie di dove si trovasse Viareggio. Ugo ha sempre pensato che quel soldato prigioniero fosse uno slavo che nel momento caotico della ritirata dei tedeschi abbia tentato la fuga e per questo ucciso. Un’altra testimonianza viene da Dolores Pescatori che in quel tempo era sfollata nei pressi della “Buca delle fate”, e di aver avuto notizia del ritrovamento di un cadavere dal giovane Renato Gianasi. Ricorda che quel giovane arrivò trafelato e sconvolto dicendo che “sul piano” era stato trovato il cadavere di un giovane biondo di capelli con le mani belle e bianche e con gli scarponi. Dolores ci dice che si occupò del caso il parroco Don Tofani e che per alcuni anni ci fu messa una semplice croce di legno e sappiamo che fin quando l’età lo ha permesso, Dolores ha sempre curato questa tomba. Purtroppo questa è la triste storia di molti giovani, anche del nostro paese, che a causa della guerra sono partiti per terre straniere, senza fare ritorno, lasciando nel dolore e nel pianto genitori e amici. Con l’augurio che certi fatti non succedano più, termino con le parole di una canzone di Bob Dylan che dice:
 
                                                                                      . . .quante volte un uomo dovrà litigar,
                                                                                                  sapendo che è inutile odiar
                                                                                        e poi quante persone dovranno morire
                                                                                                  perchè siano troppe a morir.
                                                                                           Risposta non c’è, ma forse chi lo sa,
                                                                                                    caduta nel vento sarà!!!
                                                                                                                                                                                                             Giuliano
La Chiesetta di San Rocco in San Simone
Molti non sanno che il paese di Ghivizzano, oltre alla Chiesa Parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, alla Chiesa del Sacro Cuore di Gesù ed alle Chiesette di S.Antonio e della Madonna della Neve, vanta una quinta Chiesa, posta sulla sommità di un colle in mezzo ai boschi della località San Simone; alcuni ne avranno avuto notizia dalle colonne di questo giornale, che riportò l’impegno di alcuni volenterosi, i quali, durante cinque giornate di duro lavoro, avevano proceduto alla pulizia di quell’ edificio sacro e dei suoi dintorni, liberandolo dai rovi che lo rendevano inaccessibile.
Altri, come chi scrive, hanno la fortuna di ricordare la Chiesetta di San Rocco per la tradizione che, il 16 agosto di ogni anno, conduceva in quel luogo gli abitanti del paese, per assistere alla Santa Messa celebrata in occasione della festività dedicata al santo protettore degli appestati, al quale la Chiesa, sorta sul precedente oratorio dei SS. Simone e Giuda, era stata intitolata in occasione dell’epidemia di peste del 1631, come ci narra Aldo Pellegrini al capitolo XVII del suo libro Gente nel tempo, notizie storiche di Ghivizzano del suo comune e stato, pubblicato nel 1990.
La posizione amena ed isolata, lontana dal rumore del centro abitato, costituisce uno dei maggiori pregi di questo antico edificio, testimonianza della storia del nostro paese, in quanto il silenzio dei boschi induce alla contemplazione; allo stesso tempo, tuttavia, quella solitudine rappresenta anche un ostacolo alla conservazione del luogo di culto, ormai quasi inaccessibile con mezzi meccanici.
Nondimeno, la Chiesetta di San Rocco resta a memoria della devozione dei Ghivizzanesi e del passato della nostra Valle e la sua importanza, non soltanto religiosa, ma anche storico- artistica, rende auspicabile un’opera di restauro che la restituisca al culto e permetta a chiunque di ammirarla.
Intanto il G.R.P. ha pensato insieme al Parroco di organizzare per il 2 Giugno prossimo un pomeriggio alla Chiesina, con la celebrazione della 5. Messa e a seguire una scampagnata-picnic nel prato adiacente.
                                                                                                                                                                                                                       Romina
 
Inagurazione Monumento ai caduti
Piazza 4 novembre
Una data storica per il paese di Ghivizzano quella dello scorso 4 novembre, quando la piazza centrale del paese ha fatto da cornice al ricordo di tutti i caduti delle due guerre mondiali: per volere dei paesani, infatti, in quel giorno si è festeggiata il ritorno del monumento ai caduti al centro della piazza del paese, dove era stato eretto negli anni venti dello scorso secolo.E’ stato, cosi, portato a termine il progetto di riqualificazione della piazza stessa, donata dai proprietari proprio per accogliere il monumento ai caduti, che tuttavia nel 1954, era stato spostato nel piazzale antistante la Chiesa del Sacro Cuore, decisione presa dalla sezione Combattenti di Ghivizzano insieme all’ Amministrazione comunale dell’ epoca, per motivi di maggior decoro e pulizia. La decisione di spostarlo era sicuramente valida, ed il luogo scelto di grande dignità, ma il posizionamento nella naturale cornice della Piazza IV Novembre, la cui zona centrale è stata appositamente rialzata, ne mette in risalto tutta la bellezza, riportata alla luce dal sapiente lavoro di restauro cui l’opera è stata sottoposta. 
La festa, fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale, ha avuto inizio alle 15.30 con la sfilata partita dal piazzale della sede distaccata del Comune, con la banda musicale di Coreglia Antelminelli “ Catalani” in testa, seguita dalle autorità, dalle forze dell’ordine e da moltissimi cittadini. Dopo l’esecuzione di brani in tema con la giornata, ha preso la parola il Sindaco Funai, che ha ricordato, prima di tutto, i caduti nelle due guerre mondiali, i quali hanno combattuto per la libertà e l’amor di patria; il primo cittadino ha, in seguito, illustrato il percorso che ha portato alla riqualificazione della piazza e del suo monumento. E stata, dunque, la volta del Senatore Nedo Poli, che ha voluto ringraziare le forze armate, sottolineandone la preziosa opera a garanzia della sicurezza del nostro paese, per poi esprimere il proprio apprezzamento per i lavori di rinnovo del centro del paese. A conclusione delle autorità, ha preso la parola il Consigliere Regionale Marco Remaschi, che, come Sindaco della precedente Amministrazione Comunale, si fece promotore della riqualificazione della piazza. Remaschi ha per prima cosa ringraziato tutti i cittadini intervenuti, spiegando che, per vari problemi, non è stato molto semplice arrivare a spostare il monumento, ed ha, poi, sottolineato l’ottimo lavoro svolto dalla ditta Dini Marmi di Ghivizzano, incaricata di eseguire il lavoro di smontaggio e rimontaggio dell‘opera, realizzata interamente in marmo bianco di Carrara. E’ arrivato, infine, il toccante momento della memoria, con gli Alpini che hanno deposto una corona di alloro, dopo che era stato eseguito il silenzio. La benedizione ufficiata dai Parroci di Ghivizzano e Coreglia Antelminelli è arrivata a conclusione della cerimonia ufficiale, dopo la quale è stato offerto un rinfresco a tutti gli intervenuti, gentilmente offerto dalla Pasticceria Bonelli e dal Bar Sport di Ghivizzano. La giornata di festa si è conclusa poi con la gente che numerosissima si è messa in posa per scattare una foto davanti al monumento, per conservare un bel ricordo di questa” storica” giornata.
                                                                                                                                                                                                                                F.P.
La vita dei Santi raffigurati nelle nostre chiese
I ragazzi del gruppo di 1° Media hanno voluto inserire nel loro programma dell’anno catechistico, una ricerca sui santi che sono raffìgurati nelle nostre chiese. Si apre così una nuova rubrica che ci accompagnerà alla conoscenza della vita di queste straordinarie figure.
Santa Maria Goretti
In una vetrata nella chiesa del S. Cuore è raffigurata Santa Maria Goretti nata il 16 Ottobre 1890 a Corinaldo (Ancona) e morta il 6 Luglio 1902 a Nettuno (Roma).
Vittima di omicidio, a soli dodici anni, a seguito di tentato stupro, fu canonizzata nel 1950 da Papa Pio XII. Era la secondogenita di sei figli e la sua vita era fatta di lavoro casalingo e nei campi. La famiglia Goretti aveva fatto amicizia con la famiglia Serenelli, vicina di casa.
Nel 1900 il padre Luigi mori di malaria e anche il capofamiglia dei Serenelli rimase vedovo, così che la collaborazione tra le due famiglie si fece più stretta.
La costante frequentazione della dodicenne Maria in casa Serenelli spinse uno dei figli, Alessandro, all’epoca ventenne, a tentare approcci di natura sessuale nei suoi confronti che raggiunsero il culmine nell’estate 1902: il 5 Luglio, dopo un ennesimo tentativo fallito, Serenelli tentò di violentare la giovane e, avendo trovato resistenza la ferì più volte con un punteruolo. La ragazza venne trasportata all’ospedale di Nettuno; la morte non sopravvenne subito, ma il giorno successivo, per le complicazione a seguito di un intervento chirurgico senza anestesia sfociato in peritonite.
Maria Goretti, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, perdonò il suo assalitore che fu condannato a 30 anni di reclusione.
Secondo quello che egli stesso ha raccontato, dopo aver avuto il perdono anche dalla famiglia, si è sognato la sua vittima che gli offriva dei gigli che si trasformavano in fiammelle e uscito dal carcere trascorse il resto della sua vita in un convento di Cappuccini dove morì il 6/5/1947 a 88 anni.
L’immagine di Maria Goretti fu adottata a simbolo di una visione tradizionale della donna, dedita alla maternità e al lavoro domestico.
Il corpo e le reliquie sono conservati a nettuno, nel santuario di Nostra Signora delle Grazie.                                                                          
                                                                                                                                                                               I ragazzi del catechismo di 1° Media
                                                                                                                                                                                              Manuela Lucchesi
S.Antonio da Padova
A sant’Anotnio da Padova è dedicata, nel nostro paese, la chiesa che è ubicata dentro il Castello e nella quale si trova una statua del santo, oltre ad una vetrata nella chiesa del Sacro Cuore.
Fernando di Martino, il futuro S. Antonio, nacque a Lisbona (Portogallo) nel 1195. Erano tempi di crociate in difesa della fede e ogni giovane di nobile famiglia sognava di porre la spada e il coraggio al servizio dei valori cristiani.
Ma Fernando alla violenza della spada preferì la forza della preghiera e della verità. Nel 1220, infatti, entrò in un monastero agostiniano nelle vicinanze di Lisbona. Nella primavera del 1220 fu fatto sacerdote, era un uomo maturo, pronto ad intraprendere le vie della perfezione evangelica; pochi mesi dopo indossò l’abito francescano con il nome di Antonio.
Partito per il Marocco, come missionario, vi rimase pochi mesi a causa di misteriose febbri che lo costrinsero a ritornare, ma durante il viaggio di ritorno una violenta tempesta lo fece naufragare sulle coste della Sicilia (era l’aprile del 1221).
Dalla Sicilia, insieme ad alcuni confratelli partì per Assisi dove si teneva il Capitolo Generale del suo ordine. Fu in questa circostanza che conobbe frate Francesco, il futuro santo.
Al termine di questo incontro, frate Antonio venne destinato all’eremo di Montepaolo presso Forlì, lassù soggiornò fino al settembre del 1222, celebrando la Messa con i confratelli che avevano deciso, come lui, di vivere un periodo di “deserto” nella silenziosa quiete della montagna per vivere solo con Dio facendo penitenza ed intensa preghiera.
I confratelli si resero subito conto delle grandi capacità di frate Antonio, per la sua profonda cultura biblica e lo invitarono a predicare tra la gente; da quel momento in poi frate Antonio divenne predicatore intinerante quotidiano. Durante la sua missione di predicatore era invocato come potente intercessore presso Dio il quale gli concede di operare miracoli e prodigi. Qualche tempo dopo frate Antonio ebbe il grande conforto della visione di Gesù che gli apparve nelle sembianze di un fanciullo.
Poco prima di morire chiese di essere riportato a Padova nella chiesetta di S.Maria Mater Domini, che gli era tanto cara. Morì alle porte della città il 13 giugno 1231 a soli 36 anni.
 
                                                                                                                                                                                I ragazzi del catechismo di 1° Media
                                                                                                                                                                                                     Rossi Giulia
S.Giovanni Bosco
I ragazzi del gruppo di 1° Media hanno voluto inserire nel loro programma dell’anno catechistico, una ricerca sui santi che sono raffìgurati nelle nostre chiese. Si apre così una nuova rubrica che ci accompagnerà alla conoscenza della vita di queste straordinarie figure.
 
San Giovanni Bosco è la figura esemplare di chi ha vissuto con gioia la missione di amore verso gli altri. Educatore straordinario,questo santo piemontese, fu dichiarato (31 gennaio 1988) da Giovanni Paolo TI “Padre e Maestro della gioventù”. Giovanni Bosco, nacque in una famiglia di contadini il 16 agosto 1815 a Becchi, una frazione di Castelnuovo d’Asti, poi ribattezzata Castelnuovo Don Bosco. La sua famiglia era composta da Francesco e Margherita Occhiena. All’età di due anni perse il padre e la sua infanzia si fece difficile, dovette lavorare nei campi per aiutare la famiglia. Le difficoltà non lo fiaccarono, anzi, all’età di nove anni era attivissimo nell’oratorio. Alle letture e ai giochi affiancava la preghiera. Ebbe difficoltà negli studi, perché non aveva disponibilità economiche e svolse mille mestieri per poter continuare la scuola.
Nel 1841 fu ordinato sacerdote. Grande animatore di oratori già nel 1952 il vescovo di Torino lo nominò responsabile dell’Opera degli Oratori. Quando morì, il 31 gennaio 1888, nonostante l’enorme popolarità, fu semplicemente menzionato con nome e cognome nell’elenco dei defunti
della Gazzetta del Popolo (l’odierna “La Stampa”)
descritto come un sacerdote a due facce, benefattore geniale e prete procacciatore. Papa Pio Xl, che fu un grande anuniratore di Don Bosco, lo beatificò il 2 giugno 1929 e lo canonizzò il i aprile 1934.
La città di Torino ha dedicato alla memoria del santo una strada, una scuola e un grande ospedale. Per la sua intensa attività educativa è patrono di educatori, scolari, giovani ed editori.
La forza del progetto educativo di Don Bosco era quella di far sentire ai giovani l’amore di Dio e il suo motto era “Siate allegri, ma non fate peccati”.
 
Ricordi del Venezuela
Il Venezuela fu scoperto da Colombo durante il suo terzo viaggio e deve il suo nome ad Arnerigo Vespucci e Alonso Ojeda, che la costeggiarono, dal Golfo di Paria fino al Lago Maracaibo.Qui trovarono alcuni villaggi indigeni, costruiti su palafitte, per questo chiamarono quella zona ‘Piccola Venezia” o Venezuela. La sua storia è ricca di notevoli vicende, di assalti , di guerre, di occupazioni di ogni tipo. La sua Indipendenza, però, risale al 1817, quando Simòn Bolivar, ritornò dalla Colombia ed ottenne una serie di brillanti vittorie sugli Spagnoli. Ad Angostura, oggi Ciudad Bolivar, proclamò la Repubblica della Grande Colombia che comprendeva gli attuali Stati della Columbia, del Panamà e dell’ Equador e della stessa Venezuela. Questa breve premessa storica, serve per mettere in risalto l’importanza che ha avuto questo Paese per noi Italiani e più in particolare per noi Lucchesi. Dopo la II Guerra Mondiale e cioè verso il 1947-48 con l’inizio dell’estrazione del petrolio si determinò un periodo di auge, di grandi lavori in tutti i settori. Pertanto ci fu un flusso continuo di mano d’opera e una richiesta enorme di personale che arrivò da ogni parte del mondo. Anche Dall’Italia le navi partivano sempre piene di gente e dopo le difficoltà iniziali era facile trovare lavoro nell’edilizia, nella meccanica, nella ristorazione ecc...
Anche dalla nostra Valle, molti emigrarono e gran parte dei nostri si inoltrò fino alle varie località, vicino al Lago di Maracaibo, come Ciudad Ojeda, Lagunillas, Cabimas. Pure da Ghivizzano partirono più di 30 persone.
                                                                                                                                                                                                         Ugo Sasso - Lucca
Dell'emigrazioni
A Ghivizzano, sempre sentivo parlare della Colombia e dei nostri paesani che avevano avuto questa esperienza. Per fare un breve storia, faccio notare che i primi ad andarci verso il 1860 furono i fratelli Antonio e Cherubino Pacini. Si dettero al commericio, vendendo cappelli Panarnà, che compravano a Medellin e li vendevano per tutta la zona della costa.
Verso il 1880 Cherubino si associò con Antonio Centenaro di Genova e si dedicarono alla importazione di prodotti italiani e francesi. Il tutto con molto successo. Le merci dovevano essere spedite a Genova, poi a Marsiglia e la Nave impiegava circa 45 giorni, per arrivare a Barranquilla.
In seguito, arrivarono altri parenti dei Pacini, Puccini, Bacci e Mei ed anche Franceschini. Ci fu poi la pausa delle due guerre, però già dal 1948, molte persone della nostra zona, per mancanza di lavoro e tante altre difficoltà emigrarono in varie parti del mondo e di nuovo anche in Colombia. Queste partenze, anche se i tempi erano cambiati, furono molto sentite e sofferte. Il dover lasciare la famiglia, gli amici, le abitudini e il più delle volte, senza neppure avere i soldi per pagare il viaggio, la mancanza della conoscenza della lingua e l’adattamento alle nuove situazioni. Pure io dovetti fare questa esperienza, che malgrado tante difficoltà, ricordo con molta simpatia ed affetto per quei paesi.
                                                                                                                                                                                                             Ugo Sasso - Lucca

 

 
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