Palleroso,
è un piccolo borgo medievale posto lungo le pendici delle Alpi
Apuane, che sorse probabilmente in epoca romana, intorno ad un
bosco adibito principalmente al taglio di pali di legno “Lucus
Palarosus” ossia “Bosco da Pali” (“Palaris” come sostantivo di
“Silva”), toponomio che nel corso dei secoli si evolverà in “Palerosum”,
“Pallarosa”, “Pallarosi” e “Paleroso”, i boschi della Valle del
Serchio furono utilizzati fin dai tempi dei Liguri-Apuani
all’estrazione del legno, per alimentare le fornaci
dell’industria metallurgica, armi e utensili da lavoro (parte
inferiore della Mediavalle del Serchio) e per l’industria
navale, tavoloni per barche e pali per i remi (parte superiore
della Mediavalle del Serchio).
Le
prime notizie documentate di Palleroso le troviamo all’interno
di una pergamena del 996, nella quale il Vescovo di Lucca
Gherardo, allivellò alcuni suoi beni locati in Palleroso a
Sisemondo figlio di Sisemondo consorte dei Rolandinghi Signori
di Loppia, nel 1168 all’interno della Bolla di Papa Alessandro
III, emanata il 28 dicembre da Benevento, viene citata anche la
sua chiesa appartenente alla pievania di Pieve Fosciana
“Ecclesia Sancti Martini de Pallaroso”, citazione ripetuta in
seguito nel Catalogo degli Estimi della Diocesi di Lucca del
1260.
Nel XII secolo, quando Lucca iniziò la sua politica
espansionistica lungo la Valle del Serchio, i Cattanei di
Garfagnana (i vari Signori dei castelli garfagnini) cercarono di
sottrarsi al suo dominio chiedendo protezione al Papa e ai suoi
alleati (i pisani), ne susseguì una serie di rivolte, che nel
1170 spinsero i lucchesi, ad inviare in Garfagnana le truppe del
quartiere Gervasio comandate da Baradrigo dei nobili d’Ubaldo, a
catturare il ribelle Veltro da Corvaia rifugiatosi a Castiglione,
durante il viaggio di andata, i lucchese per vendetta
saccheggiarono e incendiarono tutti i castelli ribelli che
incontrarono fra i quali Palleroso, le ostilità fra i Cattanei
di Garfagnana e i lucchesi si placarono solo quando Federico II
(riappacificatosi con il Papa) concesse a questi ultimi
l’Investitura Imperiale sulla Garfagnana, i lucchesi per
amministrare un così vasto territorio lo suddivisero in
“Vicarie” e nel riordino del 1272 Palleroso verrà posto sotto
la giurisdizione della “Vicaria di Castiglione”.
Dopo la morte di Castruccio Castracane degli Antelminelli, la
situazione politica del’intera lucchesia degenerò nuovamente,
Lucca e le sue terre si trovarono alla merce dei pisani e dei
fiorentini, fino a quando Carlo IV di Boemia liberò la città (25
febbraio 1331) e ripristinò i suoi possedimenti, il castello di
Palleroso “Castrum Pallarosi” verrà citato all’interno della
“Bolla d’Oro” del 1376 di Carlo IV.
Gli Antelminelli, che dalla morte di Castruccio non avevano mai
smesso di tramare per riprendere il controllo di Lucca, intorno
al 1370 organizzarono in molti castelli lucchesi delle rivolte,
gli uomini di Palleroso, istigati da Pieruzzo da Pieve Fosciana
aderirono alla sommossa, scatenando l’ira dei lucchesi che nel
1372 assediarono ed espugnarono il castello, mettendo a morte il
Pieruzzo e altri rivoltosi.
Dopo la cacciata da Lucca di Paolo Guinigi, la situazione
politica in Garfagnana precipitò nuovamente lucchesi, pisani e
fiorentini si contesero a lungo quelle “Terre”, gli uomini di
Palleroso, come avevano già fatto molte altre “Terre” garfagnine,
chiesero protezione (ottenendola) al Marchese di Ferrara Borso
d’Este, grazie anche all’intervento di Papa Nicolò V che per
risolvere una serie di controversie il 28 aprile 1451, ridisegnò
i confini dei due stati (Lucca e Ferrara) ponendo Perpoli sotto
i lucchesi e Palleroso sotto gli estensi (vi rimarrà fino
all’Unità d’Italia), decisione che all’inizio del XVII secolo
porterà morte e distruzione nel borgo.
All’inizio del 1600, si riaccese la guerra fra i lucchesi e gli
estensi, durante i tre assedi estensi posti a Castiglione 1601,
1603 e 1613, i lucchesi per alleggerire gli assedi, attaccarono
le “Terre” estensi confinanti con Gallicano e Minucciano,
durante l’incursione del 1603, Palleroso venne saccheggiato e
dato alle fiamme, in quell’occasione non venne risparmiata
neanche la chiesa di S.Martino, oltre agli arredi furono portate
via anche le sue campane.
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